Clarinetto- Contrabbasso Jazz

























Com’è nato questo progetto?
«Io sono per formazione un musicista classico, però suono da molti anni anche il jazz e quindi conosco il mondo dell’improvvisazione. Il contrabbassista del nostro ensemble è invece un puro contrabbassista jazz, uno da locali chiassosi, fumosi e con un alto tasso di consumo di birra. Il pianista, invece, è un puro pianista classico, tant’è vero che durante i mesi di prova non è stato facile per lui seguire noi altri mentre ci abbandonavamo alle nostre improvvisazioni. Il progetto per certi versi è proprio questo: riunire in un ensemble una personalità completamente classica, una completamente jazz e una – che sarei poi io – capace di stare nel mezzo, come un ponte fra le altre due».

Quale repertorio affronterete?
«Il bello è proprio questo: non ci siamo riuniti per suonare Piazzolla o Gershwin, ossia autori non propriamente classici ma nemmeno completamente estranei a questa sfera. Noi ci spingiamo ben più là, e quindi suoniamo anche Chick Corea, Keith Jarret, Charlie Parker. Ma tentiamo di farlo in un modo un po’ diverso dal solito: ossia seguendo una via di mezzo, apprezzabile non solo da chi ama il jazz ma anche dal pubblico che frequenta abitualmente solo i concerti di musica classica. Perché se è vero che gran parte del concerto è improvvisata, è altrettanto vero che ci sarà anche molta musica scritta…»

Può farmi un esempio?
«Chick Corea: traiamo spunto da Addendum, un suo Trio originale per violino, violoncello e pianoforte, e vi improvvisiamo sopra; lo stesso facciamo con le sue Children songs. In pratica noi rileggiamo alcune sue composizioni originali. Naturalmente, quando il programma lo richiede, ci atteniamo rigorosamente agli spartiti: della Sonata per clarinetto di Bernstein non cambieremo una sola virgola. Bernstein è stato a sua volta uno straordinario ponte fra la musica colta e quella jazz: basti pensare a uno dei suoi capolavori, West Side Story…»

A proposito di programma. I jazzisti di solito improvvisano anche quello…
«E infatti anche il nostro è un programma di massima. Lo cambieremo ma ne parleremo direttamente con il pubblico annunciando di volta in volta le new entry, proprio come in un concerto jazz». Nel vostro programma di massima c’è un brano di Salvia che sembra unire – entro una cornice un po’ straniante di musica brasiliana – due personalità molto distanti fra loro: Saint-Saëns e Brahms.
Il brano di Salvia è un’operazione un po’ blasfema. E’ stato preso un tema dalla Sonata per clarinetto  op.120 di Brahms e quindi è stato riletto in maniera del tutto originale. Ma del resto tutto il concerto è all’insegna di una certa originalità…»

…da enfant terrible…
«Sì proprio così. D’altra parte è un’operazione divertente ma al tempo stesso molto complessa per ciascuno di noi. Al termine del primo concerto il contrabbassista è uscito letteralmente distrutto, e sa perché? Perché noi questo programma lo eseguiamo nelle stagioni di musica classica, non jazz, e quindi lui, per la prima volta in vita sua, si è trovato a suonare in un concerto dove il pubblico era lì unicamente per ascoltare, dalla prima all’ultima, tutte le note che lui e noi insieme a lui, stavamo facendo. Oltretutto standosene lì in religioso silenzio, una condizione quest’ultima alla quale De Palma, jazzista puro, non era per niente abituato. Perché a parte qualche rara eccezione, come Keith Jarret che va a suonare nei teatri, il 99% dei jazzisti va a suonare nei pub, nei locali dove la gente ascolta più o meno distrattamente e dove raramente ci sono i critici musicali. Quello della musica classica è un mondo tutto diverso, un mondo che io e Monaldo Braconi conosciamo bene ma che risultava del tutto inedito per il nostro De Palma.»


4/02/2013
Intervista a cura di Fabio Sartorelli

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